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Blackberry and hazelnut muffins

In Recipes on 19 gennaio 2011 by azzurro

Ricetta n. 10: semplice ma interessante…

Blackberry and hazelnut muffins

Ingredienti:
250 gr di farina integrale
3 cucchiaini di lievito
75 gr burro
100 gr di zucchero semolato
50 gr di nocciole tostate, più qualcun’altra da mettere sopra
2 uova
250 gr di yogurt bianco
200 gr di more
1 cucchiaio di zucchero di canna

Procedimento:
Mettere la farina e il lievito in una ciotola, aggiungere il burro e mescolare alla farina, poi aggiungere lo zucchero semolato e le nocciole.
Mescolare le uova e lo yogurt assieme e poi aggiungere al composto fatto in precedenza, assieme alla metà delle more.
Distribuire il composto in una teglia da 12 muffin, mettendo le rimanenti more sopra ogni muffin, assieme al resto delle nocciole e allo zucchero di canna. Cuocere per 20 minuti a 180° finchè i muffin sono cresciuti e dorati.

22/02/2011 – AGGIORNAMENTO

La foto avrebbe ingannato e la delusione era troppo grande per farmeli immortalare…
Sarà stato che ho messo un po’ più di more, che il lievito l’ho preso da una bustina già aperta, che la farina era tutta integrale o che 250 gr di yogurt sulla stessa quantità di farina sono troppi….insomma, in forno sembravano ottimi ma hanno fallito miseramente la prova stecchino.
Il giorno dopo, asciugati dall’umidità della cottura, erano quasi mangiabili, ma comunque non una ricetta da riproporre…
Servono modifiche massiccie per renderla presentabile….che delusione 😦

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Pies in the sky

In About learning English on 17 gennaio 2011 by azzurro

Stamattina sulla via dell’ufficio il sole era già uscito, l’aria era ferma e sembrava quasi primavera.
Le giornate si sono allungate ed è facile accorgersene; del resto per arrivare alle lunghissime giornate d’estate ogni giorno il sole è costretto a guadagnare più che da noi, dove la differenza nella durata della luce solare tra inverno ed estate è minore.
La tranquillità mattutina è stata rotta dalla notizia che stanotte un piccolo ordigno esplosivo è stato piazzato nella piazza della Guildhall, davanti all’ufficio City of Culture 2013. La radio lo ripete a tutti i notiziari, ma nessuno sembra dargli peso: per quanto piccola e senza danni, è stato un segnale che mentre la città cerca di andare in una direzione, qualcuno non è d’accordo e questo è il suo modo di esprimerlo.

Nel frattempo, le ultime quattro settimane cominciano con una nuova coinquilina, la decisione (forse) di parlare inglese anche tra italiani e la determinazione a sfruttare più possibile quello che resta di questo Leonardo.
Speaking of which, finalmente ho un po’ di tempo da dedicare a un secondo giro di espressioni idiomatiche:

Get the wrong end of the stick, letteralmente, “prendere l’estremità sbagliata del bastone”, significa capire male, fraintendere qualcosa (misunderstand).

Be over the moon, essere sulla luna, cioè molto felici

Feel down in the dumps, cioè “sentirsi nella discarica, nei rifiuti”, vuol dire sentirsi depressi, abbattuti.

You’re a pain in the neck, cioè “sei una spina nel collo”, sei una persona difficile.

You’re daft as a brush: “sei stupido come una spazzola”, cioè molto.

To make a meal out of something significa creare un caso da una cosa piccola, esagerare.

To take the weight off your feet, letteralmente “togliere il peso dai tuoi piedi”, significa sedersi (!).

Ultima: pies in the sky, un’espressione che si riferisce a any prospect of future happiness which is unlikely ever to be realized, dunque un miraggio, un’illusione.
Questo è il senso in cui viene usata oggi, ma molto curioso è il modo in cui è nato: una canzone/parodia dell’inizio del ‘900 nella quale si criticava la filosofia dell’Esercito della Salvezza, cioè il fatto di concentrarsi sulla salvezza delle anime piuttosto che sulla sopravvivenza immediata degli affamati.
La prima parte della canzone dice:

Predicatori dai capelli lunghi escono ogni notte,
provano a dirti cos’è giusto e sbagliato;
ma quando gli viene chiesto qualcosa da mangiare
rispondono con voci dolci:

Mangerete
nella terra gloriosa sopra il cielo;
lavorate e pregate, vivete di fieno(?)
avrete torte nel cielo quando morirete.

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Donegal tour – parte II

In Trips on 16 gennaio 2011 by azzurro

Una sola parola, per una volta non usata a sproposito ma a dovere: amazing.
279 chilometri per un road trip alla scoperta di paesaggi che al confronto la Giant’s Causeway sembra roba da dilettanti. Scenari spettacolari, colori favolosi, dal verde, al rosso bruciato, all’ocra, al marrone.
Il tutto graziato da una giornata di sole che però, esattamente come ieri, ci ha messo a dura prova a causa di un vento pazzesco, capace di spingerti e costringerti a camminare all’indietro.
Il giro è stato all’insegna dell’esplorazione outdoor, che è poi il bello dell’Irlanda, ignorando questa volta centri informazioni, musei ed heritage centre che già ci avevano tradito e anche in questa domenica d’inverno erano tristemente chiusi.

La partenza è stata sollecita anche se non eccessiva (al confronto, la sveglia per andare al lavoro sarà una pacchia…). Prima tappa, col chiarore del mattino ma il sole ancora appena dietro le colline, il Grianan Aileach.
Struttura in pietra circolare, appena fuori Derry: si tratta finalmente di una costruzione intatta o quasi. Considerato che l’Irlanda sembra aver sapientemente sfruttato tutto quello che ha, facendo un sito turistico di ogni pietra, un castello di ogni rudere e un heritage centre per ogni evento storico, stavolta ne valeva la pena.

Attraversando un paesaggio continuamente mutevole ma sempre affascinante, arriviamo al sito di un dolmen in mezzo alla campagna: la presenza di una mucca facilmente irritabile ci impedisce di ammirarlo da vicino.
Nevermind, procediamo e e dopo un po’ di strada di campagna stretta e con molte buche, arriviamo in uno dei posti più belli visti finora in tutta l’Irlanda.
Cercando delle grotte sulla spiaggia troviamo una penisola dai colori stupendi, con una serie isolotti che la marea svela e nasconde a suo piacimento. Dopo aver ammirato una cascata notevole, seguiamo a piedi il cartello per le grotte.
Per primi arrivano quei fantastici ciuffi d’erba chiara che da lontano danno l’idea di essere un letto morbidissimo, ovviamente torturati da un vento che non ci abbandonerà per tutto il giorno.
Poi arriva la sabbia e infine, un susseguirsi di dune punteggiate di ciuffi d’erba che, non si sa come, ma riescono a crescere sulla loro sommità.
Un paesaggio mai visto, incredibile, una sensazione a metà tra il deserto e la luna (soprattutto considerato l’abbigliamento da neve/astronauti).
Lasciandoci scivolare sui fianchi delle dune, arriviamo all’oceano: una spiaggia chiara sotto delle rocce a picco, un’altra cascata e la famosa grotta.
A terra, rocce squadrate e a lamelle, piene di piccole concrezioni ad anello.
Presa dall’inquadratura in macro, non mi rendo conto che un’onda può arrivare molto più lontano di tutte le altre prima di lei e i miei doposci fanno per la prima volta la prova bagno, fallendo miseramente.
Dopo una marea di autoscatti con relative coreografie, pic-nic in macchina e nuovo spostamento, arriviamo alla meta principale del road trip: la scogliera (pare) più alta d’Europa, la Slieve League.
Anche qui, colori stupendi, due ore di sole e un vento che rischia di farti impazzire, ma, anche qui, ne valeva la pena.
Amazing.

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Donegal tour – parte I

In Trips on 15 gennaio 2011 by azzurro

C’è una cosa sulla quale la BBC proprio non sbaglia: le previsioni del tempo.
Se dice heavy rain con sunny intervals attorno all’ora di pranzo, puoi star certo di inzupparti di mattina ma riuscire a cavartela nel primo pomeriggio.
Così è stato e fidandoci di questa scaletta, il giro del Donegal di due giorni con tappa intermedia attorno al monte Errigal si è trasformato in due diversi road trip. Abbandonato il faro, causa pioggia e nebbia, dopo essere stati traditi dal Flight of the Earls heritage centre (ovviamente chiuso), una partita a biliardo nel pub di una anonima frazione lungo la strada ha risollevato una giornata partita così così.
La vera sorpresa, però, è stato il selvaggio paesaggio del Donegal affacciato sull’oceano: il vento più forte che io abbia mai provato, capace di spostarmi, un panorama aspro e brullo ma dai colori affascinanti, onde notevoli e scogliere a picco, campi da golf, spiaggia dorata e acqua quasi per nulla salata.
In chiusura di giornata, finalmente un castello che non è solo un rudere e una cittadina “vibrant” (spiegazione a breve), tale Letterkenny.
Pictures coming tomorrow: la giornata è stata lunga e c’è stato anche da preparare l’itinerario per domani….stay tuned, I’ll be right back.

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The Irish (& other foreigners) – ultima parte

In Letture on 13 gennaio 2011 by azzurro

La gara l’ho vinta. Ok, un pochino ho barato (sorvolando su numeri, statistiche e aneddoti che non mi interessavano più di tanto) ma alla fine del libro ci sono arrivata.
Dopo Vikinghi e Normanni, il capitolo sulla Plantation: all’indomani dell’arrivo di Enrico II, gli inglesi non controllavano ancora tutta l’isola e varie erano le proposte avanzate per portare a termine l’opera.
C’era chi sosteneva la guerra aperta e chi proponeva metodi meno violenti, cioè una colonizzazione in massa di cittadini inglesi che estendesse, di fatto, il controllo del territorio attraverso la popolazione stessa, facendo trasferire in zone dell’Irlanda occidentale i nativi irlandesi.
Ci vollero molti tentativi, sia privati che sponsorizzati dalla corona, prima di riuscire nell’impresa che portò, tra le altre cose, Derry a diventare Londonderry.

Il capitolo successivo del libro tratta in breve della miriade di altre nazionalità che nel tempo hanno avuto qualche rappresentante immigrato in Irlanda per vari motivi, che fosse per scelta, per affari o per  fuggire da paesi in guerra: italiani, francesi, ungheresi, belgi, cinesi, indiani, ebrei, cileni, vietnamiti e così via.
La cosa davvero curiosa che non sapevo è che gli italiani in Irlanda hanno portato il fish&chips, copiandolo da altri italiani che si erano dati a questo business in Gran Bretagna.
Italian chippers è il nome usato in inglese per indicarli e c’è perfino un’associazione!!!
Non si sa chi di preciso abbia inventato il fish & chips, mettendo insieme due cose che in precedenza venivano vendute separatamente, ma di fatto gli Italiani fecero loro questo business in Scozia, forse
prendendo esempio dai negozi londindesi. Successivamente, gli italiani emigrati in Irlanda si diedero allo stesso lavoro anche lì, facendone un successo.

Negli anni ’90, l’Irlanda non è più solo un paese da cui andarsene ma anche nel quale decidere di venire, anche se i grafici sull’andamento in/out vedono periodi di grossa emigrazione alternarsi a periodi di forte immigrazione (ed è con questo balletto di cifre che ho deciso di farla finita con questo libro).

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The Irish (& other foreigners) – parte II

In Everyday life in Derry, Letture on 12 gennaio 2011 by azzurro

Once again, dopo la pausa rilassata delle lunghissime vacanze di Natale, i giorni hanno ricominciato a volare e le 24 ore sono un’eterna coperta corta.
Togliere al sonno per dare alle attività, togliere al lavoro (in senso generale) per inserire un pò di riposo o di entertainment.
In ogni caso, resta l’ansia di riuscire a fare tutto e forse anche qualcosina in più, mentre è già iniziato il countdown per il ritorno (12 gennaio – 12 febbraio, ma non sono ancora 4 settimane).
Mentre nella gabbia dell’orario lavorativo capita di dover diluire i task per non evitare di girarsi i pollici del tutto, appena usciti dall’ufficio è tutta una corsa per conciliare necessità quotidiane e interessi vari.
Non solo, usciti dal tunnel del ghiaccio e della neve, il tormentone quotidiano delle previsioni meteo resta e si rafforza, ora che il tentativo di sfruttare gli ultimi weekend rimasti visitando i dintorni, si scontra con un ritorno di caro irish bad weather (leggi “pioggia”).
Dalla finestra accanto ad un lampione diventato ormai caro, vedo Derry sfilare: aspettare il bus alla fermata, attraversare al semaforo, entrare nel negozio di fotografia o in un non ben identificato shop/tabacchi, dirigersi all’ingresso del centro commerciale oppure al Diamond.
Sulla strada per l’ufficio la mattina il sole fa capolino dietro il Waterside e il commesso di un negozio di vestiti da uomo accende il pc nella postazione dietro la vetrina ad angolo sulla strada. Ogni giorno all’ora di pranzo la panetteria/pasticceria sotto l’ufficio mi tenta con ciambelle e bignè vari, mentre alla fine dell’orario di lavoro trovo il buio e quasi tutti i negozi in procinto di chiudere.

A proposito di fretta e tempo che non basta mai, cercando di battere la deadline della biblioteca, oggi altri due capitoli del libro sono stati macinati, anche se devo ammettere, sorvolando leggermente su molti e trascurabili dettagli.
In sostanza, dopo la preistoria e i celti, il libro si occupa dei Vikinghi e dei Normanni. I primi, fondarono Dublino e per un periodo presero il controllo di parte dell’Irlanda, mentre con l’arrivo dei secondi comincia il dominio inglese sull’isola. Ecco come viene riassunto il tutto:

The invasion of Ireland took place in 1169, when an exiled King of Leinster, Dermot MacMurrough, fled to England and invited all comers to return to Ireland and help him to regain his throne. Parts of Ireland were the reward.
In the end, it resulted in the King of England, Henry II, following those first invaders, and drawing Ireland into a drawing kingdom that stretched all the way down the west coast of France. So began an occupation of the island, either totally or partially, that has continued uninterrupted, ever since.

Mi ha colpito il passaggio subito successivo:

Yet, the invasion was less by the English as we might understand it now, and more from England. The Statute of Kilkenny contains a hint towards its cultural origins: it was drawn up not in English but in French.
If the Irish want to blame anyone for the genesis of a lenghty, strife-ridden occupation that has lasted almost a millennium, they might as well look towards France.
Although, they could direct a little anger at the Norwegians, or possibly the Welsh, or even Rome.
And they could hold over a little disdain for the Flemish while they’re at it. And there were, obviously, a few Irish in there too; although history has ensured MacMurrough’s supposed betrayal of Ireland has lingered in the collective memory.

I Normanni erano Vikinghi stabilitisi nel nord della Francia e diventati cristiani che avevano conquistato territori un pò dappertutto nel Mediterraneo. Tra le altre cose, avevano conquistato anche il regno d’Inghilterra: alla metà del 1100 il re normanno d’Inghilterra è un certo Enrico II, pronipote di quel William il Conquistatore che aveva portato i Normanni in Inghilterra.
Enrico II aveva in mente di conquistare l’Irlanda ma aspettava il benestare del papa Adriano IV, il quale secondo alcune fonti sembra gliel’abbia concesso attraverso un documento, allo scopo di riportare all’ordine la chiesa d’Irlanda, diventata sempre più indipendente.
Uno dei tanti sovrani dei regni in cui l’Irlanda era divisa, MacMurrough, dopo essere stato cacciato dai suoi domini, chiese ad Enrico II di marciare sull’isola per distruggere il suo rivale e restituirgli il suo regno.
Enrico rispose di no, ma scrisse una lettera dando la sua benedizione a chiunque avesse voluto aiutarlo.
I vari sovrani d’Irlanda erano spesso in lotta tra di loro per il potere e il controllo sul territorio, ma in questo caso a far scattare il meccanismo che portò Enrico II a conquistare l’Irlanda, fu una donna.

Yes, Ireland would probably have been invaded by England at some point in time; and, yes, the complexities of the Irish rivalries had reached a climactic moment.
Yet, among the main reasons why the Anglo-Normans invaded when they did, why Ireland began its 800 years-and-counting of occupation, is because of a bit of hanky-panky between people who really should have been old enough to know better.

Infatti MacMurrough aveva rapito la moglie di un altro sovrano, O’Rourke, con la quale aveva una relazione e fu questo a far sì che venisse costretto a lasciare il suo regno.
Invece di desistere, decise di cercare aiuto all’estero e dopo aver provato con Enrico II, continuò con altri baroni normanno-gallesi, tra cui un certo Strongbow (Riccardo di Clare).
Questo baroni accettarono di invadere l’Irlanda e lo fecero con tale successo che Enrico II cominciò a preoccuparsi che diventassero troppo potenti.
Il re d’Inghilterra decise così di entrare in campo e prendere in mano la situazione: non dovette nemmeno combattere, gli bastò presentarsi sull’isola con le sue truppe affinché gli altri sovrani e baroni si arrendessero.

Un’ultima nota interessante riguarda le lingue:

Before the Anglo-Norman invasion, the two languages of Ireland had been the Gaelic spoken by the ordinary people and Latin as used by the clergy.
The Normans added English and the Norman-French that was then the language of their ruling classes.

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The Irish (& other foreigners)

In Letture on 10 gennaio 2011 by azzurro

La fretta è cattiva consigliera, ma non essendo certa che la biblioteca conceda una doppia proroga per i libri presi in prestito, ho cominciato la corsa per terminare la lettura del secondo libro borrowed ormai un mese fa e poi tristemente abbandonato durante le vacanze di Natale.
Tutto sommato una lettura concentrata potrebbe essere d’aiuto, trattandosi di un libro che necessita di molta attenzione per districarsi tra date e dettagli storici vari.
Oltre al titolo, ad attirarmi di questo libro erano stati la sua copertina e la presenza di un capitolo sugli italiani. Partendo dalla preistoria, il libro tenta di capire e raccontare chi sono gli irlandesi di oggi, ripercorrendo le migrazioni avvenute attraverso le epoche. In un paese in cui l’identità culturale è stata oggetto di scontro, questo è un argomento quanto mai importante, per cercare di capire quanti elementi hanno concorso a formare l’attuale faccia del popolo irlandese.

Si parte dalle epoche preistoriche, cercando di capire quando i primi uomini si siano stabiliti in Irlanda e perché questo sia avvenuto molto più tardi rispetto al resto dell’Europa. L’Irlanda era collegata alla Gran Bretagna dove ora le due isole sono divise dal mare e gli uomini avevano già viaggiato in lungo e in largo. Non solo di fatto non sappiamo per certo da dove venivano i primi uomini arrivati in Irlanda, ma non sappiamo neanche esattamente perché ci abbiano messo tanto, o meglio quale delle tante difficoltà che l’uomo preistorico all’indomani dell’era glaciale ha dovuto affrontare, sia stata la causa prioritaria di questo ritardo.

Il secondo capitolo affronta poi un altro problema molto spinoso, del quale non ero a conoscenza: il fatto che l’idea dei Celti come una compatta civiltà europea dell’Era del Ferro, stabilita in particolarmente in Irlanda, non sia oggi più ritenuta valida dagli studiosi che considerano “celtico” uno stile artistico e un’identità linguistica più che una civiltà. Il problema viene affrontato risalendo ad altri popoli che hanno parlato dei celti nei documenti arrivati fino a noi: c’è il problema di capire che cosa intendessero con questa parola. Gran parte di questa identità celtica, soprattutto in Irlanda dove sono stati in realtà trovati meno reperti storici che in ogni altro sito del centro Europa, è stata una costruzione degli ultimi due secoli.
Essa ha giocato un ruolo importante nella storia politica irlandese, laddove ha aiutato a differenziarsi dalla cultura inglese, soprattutto alla fine del 1800 in un periodo di riscoperta del celtico.
Negli anni ’80 e ‘9o del 1900 vari libri (The Celts, The Atlantic Celts) hanno approfondito la questione, chiarendo proprio come gran parte di questa identità celtica, oggi onnipresente nel merchandising per i turisti, sia una costruzione culturale degli ultimi due secoli.
Ricerche più recenti continuano a cercare di approfondire la questione dell’origine dei primi uomini in Irlanda utilizzando lo studio del DNA.

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Hot toddy

In Recipes, Trips on 9 gennaio 2011 by azzurro

Quando saliamo in macchina alle 9, uno strato di ghiaccio ricopre il parabrezza e decora i bordi della strada. Il sole splende sul paesaggio di fronte, mentre un’enorme nuvola sopra di noi ci intralcia con un po’ di grandine finissima.
In questo road trip l’Irlanda è proprio come ti aspetti che sia: sole e pioggia contemporaneamente, prati verdi, tantissimo vento, pecore e arcobaleni ovunque, alte scogliere e onde dalla spuma bianca.
Mentre il sole sorge verso le 9.30, una folgorazione mi aiuta a capire il fascino di questo luogo d’inverno: disegnando un arco così piccolo in quelle appena 6/7 ore di luce, il sole resta per tutta la giornata molto basso.
Le giornate dell’Irlanda d’inverno sono così una specie di eterno tramonto dalla luce calda e dorata che rende il paesaggio più bello di quello che già è.
Per ammirare i resti di antichi castelli c’è da scarpinare nel fango, scavalcare cancelli di legno ed evitare le tracce di pecore che per brucare un po’ d’erba si spingono ovunque.

Per la strada, un cartello dopo l’altro, sono decine i nomi di paesi che iniziano con Bally, alcuni suonano divertenti, altri terribili.
Una spiegazione comunque c’è:

Bally is an extremely common prefix to town names in Ireland, and is derived from the Gaelic phrase ‘Baile na’, meaning ‘place of’. It is not quite right to translate it ‘town of’, as there were few, if any, towns in Ireland at the time these names were formed. For example, Ballyjamesduff [Place of James Duff] (county Cavan), Ballymoney (county Londonderry). The Irish name for the site of present-day Dublin was ‘Baile Átha Cliath’, which, if anglicised, would be spelt something like ‘Ballycleeagh’. Note that ‘Dublin’ is actually a Viking word. (see more)

Dopo un tè davanti ad un caminetto e un panino in macchina, c’è la visita ad una distilleria che ha da poco festeggiato 400 anni di attività, momentaneamente messa fuori uso dal ghiaccio.
Una guida spedita spiega le fasi che portano acqua, orzo e lievito a sviluppare zucchero e dunque alcool, fino alla quantità desiderata.
Tra contenitori di alluminio e rame, tanti tubi, odore di mela, zucchero e un’alternanza di caldo e fraddo, scopriamo che a fare la differenza tra i vari tipi di whiskey prodotti qui non è solo il numero di anni che lo spirit passa invecchiando, ma anche la botte in cui viene messo.
Per dare al loro prodotto aromi differenti, qui usano botti nelle quali sono stati precedentemente invecchiati altri liquori, dei quali il legno è rimasto impregnato: cherry, bourbon, porto, madeira.
Alla fine del giro, nonostante fossero soltanto le due del pomeriggio, la degustazione era d’obbligo: whiskey al profumo di cherry, cocktail di whiskey e ginger ale e infine Hot toddy.
Ecco la ricetta di quest’ultimo:

La proporzione è: 2 parti di acqua e 1 parte di whiskey.

Per aromatizzare 1 litro di acqua, prendere 3 cucchiai di cannella in polvere e 3 cucchiai di chiodi di garofano interi. Legarli insieme in un panno di lino, mettere il panno nell’acqua e portare ad ebollizione.  Lasciare bollire per 30 minuti (più bolle, più sarà forte l’aroma). Aggiungere poi il whiskey (la metà della quantità di acqua aromatizzata). Aggiungere un pochino di zucchero oppure di miele (volendo anche una fetta di limone).
N.B. Al posto della semplice acqua si può usare anche tè nero.

A detta di un simpatico barista polacco con inglese perfetto (venuto in passato in vacanza in Sardegna!), addetto al banco degustazione, l’Hot toddy è un ottimo rimedio in caso di malanni invernali vari…

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Tortino al cioccolato con salsa al Baileys

In Recipes on 8 gennaio 2011 by azzurro

Ricetta n. 9: lo so, lo so….un’altra ricetta e soprattutto, un’altra ricetta ipercalorica, ma la soddisfazione di aver finalmente capito qual è il trucco (tutto sommato semplice) per avere un cuore di cioccolato sciolto in mezzo ad una pasta cotta e lievitata, era troppa per non pubblicarla.

Tortino al cioccolato con salsa al Baileys

Ingredienti:
125 gr di farina che lievita
40 gr di cacao
125 gr di burro
100 gr di zucchero
2 uova
6 cioccolatini tondi (li chiama truffle balls, tartufi; immagino che un Lindor o simile andrebbe benissimo)

Per la salsa:
200 ml di panna
6 quadratini di cioccolato bianco
4 cucchiai di Baileys

Mescolare la farina e il cacao insieme.
In un altro contenitore, lavorare il burro con lo zucchero e poi aggiungere le uova.
Aggiungere questo composto alla farina e al cacao.
Mettere una cucchiaiata di questo composto in ognuno di 6 stampini da 150 ml di capacità, aggiungere un cioccolatino nel centro e poi mettere il restante composto sopra distribuendolo nei sei stampini.
Cuocere per 25 minuti a 180°.
Per la salsa: scaldare la panna assieme al cioccolato bianco e quando quest’ultimo si sarà sciolto, aggiungere il Baileys. Mettere la salsa calda sui tortini prima di servire.

17/02/2011 – AGGIORNAMENTO

Per fare una teglia da 12 muffin, la dose giusta è:
190 gr farina che lievita
60 gr di cacao amaro
60 gr di burro sciolto (l’ho molto ridotto affinché i muffin siano senza sensi di colpa)
un pochino di latte (per sostituire il burro mancante, diciamo un po’ meno di mezzo bicchiere, da aggiungere man mano controllando la densità dell’impasto)
140 gr di zucchero (bisognerebbe provare con quello di canna)
3 uova (montare le chiare a neve, per aiutare a sostituire il burro)
12 cioccolatini tondi

Sulla cottura, nulla da dire; non ho provato per ora la salsa al Baileys ma secondo me una pallina di gelato alla vaniglia a fianco e un po’ di zucchero a velo sopra andrebbero alla grande.

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ASAP – As Soon As Possible

In Everyday life in Derry on 7 gennaio 2011 by azzurro

Era da prima di Natale che non si faceva vedere, ma devo dire che nessuno ne sentiva la mancanza: il ghiaccio si è ripresentato oggi dopo la tregue di fine anno, sui tetti delle macchine e in alcuni punti sui marciapiedi.
Una leggera spruzzata di bianco sui tetti al risveglio stamattina, dopo che ieri si è messo a nevicare mentre splendeva il sole (first time ever!).
Niente disagi per ora, a parte un cambio di programma: due giorni di viaggio con l’incertezza della neve sono troppi, meglio aspettare domenica sperando nel rialzo delle temperature.
Ebbene si, sono diventata una meteo-addicted: da che mi rifiutavo di guardarle, ora le controllo più volte al giorno, sempre ansiosa di sapere che ci sarà oltre il quinto giorno limite che i metereologi non si azzardano a superare.
Del resto è una questione di sopravvivenza: devo sapere se aggiungere o meno il quinto strato alla vestizione quotidiana in previsione del gelo di un’ufficio polare.
A proposito di lavoro, dopo la ricerca su San Valentino, le domande per l’intervista a Jason Donovan e la pagina dei film e DVD, oggi l’assegnazione dei contenuti per il nuovo numero mi ha affidato un po’ di fashion, business e men’s healt.
La proposta di un articolo-intervista ai datori di lavoro delle altre italiane a Derry per ora giace sul mio desktop, in attesa di un momento meno concitato per proporla: la deadline onnipresente in ufficio è infatti as soon as possible.