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On my way back home

In Ritorno on 13 febbraio 2011 by azzurro

L’autista che ci viene a prendere alle 2.45 di notte ci saluta con un “Good Morning” che suona quasi ironico.
Dopo aver lottato per incastrare dieci valigie in un taxi da 7, si parte per Belfast sfidando la nebbia.
Lungo la strada mi godo quella che potrebbe essere la più lunga conversazione in inglese dei tre mesi e mezzo a Derry.
Il viaggio è pesante ma abbastanza tranquillo, a parte la solita ansia da cambio di gate all’ultimo minuto (in un aereoporto grande come una città, non è cosa da poco): tra un panino e un biscotto, svariati pisolini e mezzi di trasporto di vario tipo, 20 ore di viaggio ci riportano a casa.
Arrivati a Milano continuo a dire “Hello” alle persone che non conosco e a prepararmi in testa le frasi in inglese, faticando a riprendere mano con gli euro, almeno nel contarli a colpo d’occhio.
Il mood non ha nulla a che vedere con il viaggio di andata dello scorso Novembre: dove c’erano eccitazione e voglia di conoscersi, ora ci sono la stanchezza e la tristezza di separarsi.
Salutarsi è uno strazio.
Adesso so cosa avrei dovuto rispondere nel questionario di selezione per questo progetto Leonardo, alla domanda “Che cosa ti spaventa, quali pensi potrebbero essere gli aspetti negativi di partire?”.
Non la mancanza di casa o degli amici, non la paura di non essere adatti alla vita o al lavoro all’estero, ma di affezionarsi troppo ai posti e soprattutto alle persone che avrei conosciuto!
È stato bello condividere questo Leonardo con voi ragazzi/e, mi mancherete!

 

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Goodbye Derry

In Ritorno on 12 febbraio 2011 by azzurro

La giornata più lunga del Leonardo a Derry scorre lentissima.
I saluti vanno avanti ormai da circa tre giorni e non si fa altro che baciarsi e augurarsi un good trip con la scusa che non si sa se ci si rivede  o meno.
La casa è un via vai di gente, buste, ultime compere, vettovaglie per il viaggio, nuovi arrivati che già fanno capolino prima ancora che i vecchi se ne siano andati…
Tra una partita a biliardo e una pasta e fagioli alle undici di sera, si cerca di spostare in avanti più possibile l’orologio biologico, affinché saltare la notte di sonno e partire alle 3 sembri una cosa quasi normale.
Si aspetta e si tira tardi un po’ come a capodanno, ma in questo caso è peggio perché la “mezzanotte” non sarà che l’inizio di un’intera giornata di viaggio.
Si prevedono lacrime a volontà in quel Milano, perché lasciare Derry è triste ma salutarsi lo sarà ancora di più.

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Left-overs

In Everyday life in Derry, Ritorno on 11 febbraio 2011 by azzurro

Ormai ci siamo: ultimo giorno a Derry, la valigia pronta e il biglietto per stanotte.
Negare è inutile. Game over.
In tre mesi ho scritto molto più di quanto avrei osato sperare, anche se tanto altro ci sarebbe stato da scrivere o da notare.
L’ultimo giorno si svuota il frigo e si finiscono gli avanzi: anche su questo blog c’è una discreta lista di spunti non sviluppati che non merita il cestino.

Capelli e Derry girls:
L’attività commerciale più diffusa a Derry sono i saloni di parrucchieria: da uomo o da donna, sono grandi, chic e ovunque.
Le ragazze, oltre ad andare in giro con tacchi o zeppe altissime e senza calze nè cappotto in mezzo al gelo, adorano le cotonature e danno vita con i loro capelli ad impalcature dotate di vita propria, un po’ anni ’60.
Laddove in genere, davanti allo specchio del bagno di un locale, ci si passa una mano per disciplinare la capigliatura, loro se la arruffano quanto più possibile.

Luci e ombre:
La conseguenza di avere giornate molto brevi durante l’inverno non è solo quella tonalità calda che la luce dà al paesaggio, ma anche il fatto che ai piedi di ognuno per strada ci siano affascinante ombre lunghissime e affusolate.

L’alcool
La passione dei giovani (e non solo) per l’alcool è un tema che una parte della popolazione considera un problema preoccupante.
Lo sappiamo, l’Irlanda è il paese della birra: si entra nel pub a metà pomeriggio e si beve fino a sera.
Ma questa cosiddetta “abitudine culturale”, qualunque sia la sua origine, può forse darsi che abbia perso lungo la strada il suo senso originale per diventare semplicemente un grosso problema e un pessimo esempio per i giovani, ancor più che da noi?

L’accento
Alcuni derriani ti chiedono: “Se devi imparare l’inglese, che ci fai a Derry?”, mentre altri sostengono che ci siano accenti molto peggiori del loro, a cominciare a quello di Belfast, passando per Dublino fino allo scozzese.
Molti di loro non si rendono conto di quanto sia difficile per uno straniero comprenderli: se gli dici che fatici a capirli, danno per scontato che il motivo sia la velocità con cui parlano.
In realtà, oltre a mangiarsi le parole, quello che fanno è proprio cambiare i suoni delle lettere.

Italians
Ho sempre creduto di avere un nome semplice, normale, facile da pronunciare.
Bè, non e’ così: se i derriani sono incuriositi o in difficoltà  a dirlo per la prima volta, francesi e spagnoli proprio non ce la fanno a non chiamarmi Lùcia (cioè il maschile di Lucio).
Un’altra cosa che ignoravo è quanto il nostro modo di gesticolare sia unico.
Ok, gli italiani gesticolano un sacco, più di chiunque altro e ora me ne rendo conto molto meglio di prima (ma come fanno gli altri a tenere le mani così ferme mentre parlano?!?) ma una serie di gesti che avrei detto universali sono invece profondamente italiani e sconosciuti al resto del mondo.

Uguali e contrari
Si guida a sinistra, le barrette di cioccolato sono ovunque, le maniglie si chiudono come si dovrebbero aprire e viceversa, le patatine hanno dei gusti assurdi (roast chicken, barbecue roastbeef, cheese and onion, salt and vinegar, ecc…), il pangrattato come lo intendiamo noi non esiste, le medicine costano nulla e le sigarette un sacco, i rubinetti caldo e freddo sono separati (maledetti) e invece di comprare delle scarpe adatte alla neve, la gente preferisce mettersi i calzini sopra le scarpe normali, così come sgommare per strada (o spingere in caso di difficoltà) piuttosto che mettere le catene.

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È già mercoledì…. e io no

In Ritorno on 9 febbraio 2011 by azzurro

Non è solo la citazione di un libro di Bergonzoni ma è proprio la sensazione di oggi.
È già il mercoledì della settimana della partenza (2 days to go!) ma non sembra.
Domani è l’ultimo giorno in ufficio, ma non sembra.
Perché quando parti per un periodo lungo e pensi a quando terminerà, hai come l’idea che verso la fine qualcosa ti dirà che quella è una settimana diversa dalle altre, che è l’ultima e in qualche modo ci arriverai preparato al momento di salire sul taxi e dire Goodbye a quel posto.
E invece no.
E invece l’ultima settimana arriva come tutte le altre e l’ultimo mercoledì sembra un banale mercoledì come ogni altro, mentre non lo è.
A parte chi ti ricorda che questa è l’ultima cena insieme, l’ultima uscita insieme, l’ultima pasta, l’ultima torta, l’ultima lasagna, ecc ecc…. per il resto tutto sembra molto normale e forse da un lato è meglio così.
Dall’altro, prevedo saluti bagnati e appiccicaticci.

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Irish bread

In Everyday life in Derry, Recipes on 8 febbraio 2011 by azzurro

Tra i prodotti da forno che abbiamo provato a Derry, oltre agli scones, alle baps e alle girelle di pasta sfoglia al cinnamon (amazing!), non sono mancati soda bread, potato bread e wheaten bread (chiamato anche brown soda bread).
Quest’ultimo in particolare è quello che accompagna quasi ovunque la Soup of the day: è marroncino, morbido e quasi dolce, al punto che sembra più una torta che un pane.
Con un po’ dell’immancabile burro, è la fine del mondo inzuppato nella soup.
Ero convinta che si trattasse semplicemente di pane integrale.
A ben guardare invece, si tratta di un soda bread, cioè pane lievitato con bicarbonato di sodio, fatto con farina integrale e con buttermilk, cioè latticello, sostituito da noi con un po’ di yogurt.

Di ricette online ce ne sono un sacco….in questi tre mesi ho incontrato più di una volta libricini di ricette, anche sul pane, ma siccome non mi piacciono le ricette senza immagini, nessuno di loro mi ha mai conquistato.
Tra le tante ricette sul web, questa mi sembra sensata:

Wheaten bread

350 gr di farina integrale
100 gr di farina manitoba
300 ml di latticello (sostituire con yogurt)
1 cucchiaino colmo di bicarbonato di sodio
2 cucchiaini di sale (anche meno se si vuole sentire più il dolce che il salato)
2 cucchiaini di zucchero (oppure miele)
Alcune ricette aggiungono anche burro oppure olio (si potrebbero mettere un paio di cucchiai di olio oppure 30 gr di burro) o addirittura un uovo.

Opzionale si possono aggiungere infine: fiocchi d’avena e semi vari a piacimento.

Una volta impastati tutti gli ingredienti e ottenuta una palla liscia e omogenea (non va lavorato a lungo, bensì piuttosto rapidamente), si fanno due tagli perpendicolari e si può bagnare la superficie con latte e spolverare di zucchero.
In alternativa alla pagnotta si può mettere l’impasto in uno stampo da plumcake e ottenere la forma lunga.

Cuocere in forno caldo a 210° per 15 minuti, poi abbassare a 190°/180° e cuocere ancora mezz’ora.
Riguardo alla cottura le ricette divergono pesantemente: dopo aver provato, potrò confermare o meno tempi e temperature.

18/02/2011 – AGGIORNAMENTO

Fantastico: testata la ricetta trovata su Internet. Il profumo prometteva bene e anche l’assaggio ha confermato: si tratta dello stesso pane trovato tante volte accanto alle soup nei locali di Derry.
Di yogurt (bianco intero) ne ho messi due vasetti, quindi 250 gr, sostituendo il resto con un po’ di latte per impastare il tutto. E ho messo anche due cucchiai di olio.
La farina: oltre a quella integrale ho messo farina di grano tenero tipo 0, visto che non avevo la manitoba (in pratica è la stessa cosa).
Lavorato poco, giusto il tempo che serve ad amalgamare tutto, messo nello stampo da plumcake, fatti i due tagli, bagnato con latte e spolverato di zucchero, la cottura indicata dalla ricetta è perfetta.
Che dire? Profumo d’Irlanda, grande successo.

Ricapitolo la ricetta testata:
350 gr di farina integrale
100 gr di farina di grano tenero tipo 0 (oppure Manitoba)
250 gr di yogurt bianco intero (= 2 vasetti)
1 cucchiaino colmo di bicarbonato di sodio
2 cucchiaini di sale
2 cucchiaini di zucchero
2 cucchiai di olio
latte quanto basta per impastare il tutto

Cottura: 15 minuti a 210° e poi mezz’ora a 190°, finché è ben abbrustolito.

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Sadness

In Everyday life in Derry, Ritorno on 7 febbraio 2011 by azzurro

Ora che anche il pacco è partito (rischiando di scambiare la Sicilia con le Marche per colpa di un corriere a dir poco frettoloso, maleducato e disattento), i giorni rimasti sono davvero pochi, anche se sembra che ognuno di loro sia lunghissimo. Dopo una domenica di riposo, biliardo (!) e scotch marrone a go-go, il lunedì è ora di pensare alle valigie, cominciare con le ultime lavatrici, riconsegnare i libri in biblioteca e svuotare gli scaffali dalle ultime scatolette. Triste, ma ci tocca.

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Lazy Saturday

In Everyday life in Derry, Recipes on 6 febbraio 2011 by azzurro

Il tanto sospirato sabato pigro finalmente è arrivato. Svegliarsi tardi (o almeno alzarsi tardi), fare la doccia con calma e poi pranzo e giro nel City Centre, freddo ma affollato.
Mercatino in piazza, gente nei caffè, gallerie aperte e l’occasione di sperimentare un paio di piatti tipici prima di andarsene.
Per la precisione: stew irlandese, baked (o jacket) potato and coleslaw.
In chiusura, torte di vario tipo, tutte discretamente grasse e goduriose.
Semplificando, la stew altro non è che uno spezzatino di carne con patate e carote senza tutto il pomodoro che c’è di solito da noi ma immerso nella salsa creata dalla carne e dalle patate che raggiunge una consistenza molto densa.
Esiste una variante che prevede anche di aggiungere un po’ di Guinness allo stufato.
La baked potato è una patata arrostita intera e poi farcita mentre il coleslaw è una sorta di insalata russa ma fatta con il cavolo bianco.
In serata, Woodstock Revisited: giovani e meno giovani, professionisti o semi-professionisti, per più di 5 ore sul palco a suonare The Who, Janis Joplin, Jimi Hendrix, Jefferson Airplane e molti altri, in maniera impeccabile.
Tanta gente, molti vestiti anni ’70 e quello che era partito come un concerto con tutto il pubblico ordinatamente seduto, diventa una festa scatenata con un sotto-palco super affollato….amazing!

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Derry/Londonderry

In About learning English, Everyday life in Derry on 4 febbraio 2011 by azzurro

Si solito ogni città ha il suo nome. Uno solo.
Quella in cui mi trovo attualmente ne ha due (tre contando anche il nome in gaelico, Doire) ed ecco perchè volendo cercare le notizie avvenute più di recente, è ogni volta necessario fare una doppia ricerca in Google News: una con “Derry”, l’altra con “Londonderry”.

Rispetto a questa disputa, questo blog non ha preso una posizione: il suo titolo è Leonardo in Derry semplicemente perchè questo è il nome che ho trovato scritto su tutti i miei documenti ed email fin dal giorno della notifica della mia partenza. L’ho scelto prima di sapere che ce ne fosse un altro.
E, di fatto, poi ho continuato ad usarlo anche perchè penso di non aver sentito mai nessuna delle persone con cui ho parlato in città chiamarla diversamente.

La questione è però in realtà complessa e attuale.
Mentre i poster promozionali City of Culture 2013 si impegnano a comprendere la doppia identità della città usando anche slogan e giochi di parole (Derry/Londonderry trasformato in Legendary), pochi giorni fa il Belfast Telegraph ha pubblicato un articolo in cui, rispondendo alla richiesta di un lettore, ha spiegato la sua politica riguardo all’argomento.
La domanda esatta è stata: “What I would like to know, is why the paper uses both Derry and Londonderry? Is it an act of moral cowardice, a scrupulous dedication to fairness, or a canny political, or even commercial, calculation?
Risposta: “The first reference in an article should use Londonderry and all other references afterwards should use Derry. Derry is also the style in headlines. Where Derry or Londonderry are in the name of an organisation or thing, eg Derry City Council, or the Londonderry Sentinel — then that is used. Before you ask, the same style applies to the county.
Il giornalista la definisce “a commonsense solution to an age-old issue“.

Un’intera pagina di Wikipedia è dedicata a questo problema e tra le tante cose, si specificano anche le norme che i vari istituti o organi di informazione locali hanno stabilito relativamente al nome da usare per la città.
Alcuni casi sono una precisa presa di posizione, mentre altri sono diplomatici compromessi.
La soluzione di molte aziende o attivita’ commerciali è quella di evitare il problema utilizzando altri nomi, che si tratti del fiume Foyle o della dicitura North West.

A livello ufficiale, il problema è stato affrontato addirittura dalla giustizia: nel 2007 un giudice ha decretato che il nome rimanesse Londonderry, rispettando quanto stabilito nel lontano 1662.
Ciononostante, resta difficile incontrare qualcuno usi questo nome, almeno nel City Centre.

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Bloody Sunday

In Everyday life in Derry, Film on 3 febbraio 2011 by azzurro

L’ultimo weekend a Derry si avvicina e le cose da fare aumentano, a casa e al lavoro; di tempo per scrivere ce n’è poco, per fermarsi a realizzare che tra una settimana si parte, anche meno.
Il tempo atmosferico nel frattempo sembra tornato uguale alla sera che siamo arrivati qui: un vento capace di spostarti e mandare la pioggia in orizzontale. L’unica differenza è che dopo aver sperimentato le temperature polari di Dicembre, il freddo di oggi sembra nulla in confronto allo shock della sera di quel lontano 7 Novembre 2010.

Tra una lasagna e una tortilla, ieri il miracolo è riuscito e anche se con un discreto ritardo, per lo spettacolo delle 22.30, dieci persone erano finalmente tutte sedute contemporaneamente nella stessa stanza davanti allo stesso schermo, a vedere Bloody Sunday.
Il montaggio alternato domina il film e dall’inizio fino alla fine del film contrappone i dimostranti da un lato e i militari dall’altro, in una città sotto assedio tra barriere e barricate varie.
In quella Domenica ci fu di tutto: famiglie con bambini alla marcia, ragazzi a lanciare pietre contro i soldati, tentativi di accordi diplomatici ai vertici dell’ultimo minuto, getti d’acqua sulla folla, discorsi sui diritti civili e sulla nonviolenza e infine, quello che nessuno si sarebbe mai aspettato: i soldati che sparano proiettili veri (non di plastica) sui civili in fuga.
Il film si chiude col dolore delle famiglie da un lato e le domande ai parà coinvolti da parte dei superiori dall’altra, con un accenno al tentativo di attribuire alle vittime il possesso di armi da fuoco ed esplosivi.
Sui titoli di coda, l’omonima canzone degli U2 dal vivo, introdotta da Bono con queste parole:
This is a song….a song I hope one day never to have to sing again.

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How long must we sing this song?

In Everyday life in Derry on 3 febbraio 2011 by azzurro

Oggi che della storia dell’Irlanda in generale ne so più di quando avevo quindici anni, non posso fare a meno di riconsiderare le parole delle canzone degli U2 che ho cantato mille volte, assieme al tamburo che segna il ritmo di una marcia e le immagini dei concerti con Bono che sventola sul palco e tra la folla una bandiera bianca.
Erano già gli anni ’80 quando gli U2 agli inizi della loro carriera pubblicarono Sunday Bloody Sunday, ma le violenze e i troubles erano tuttaltro che superati.
In un momento storico del genere gli U2, seppure nati e cresciuti non nell”Ulster ma a Dublino, non potevano non essere influenzati da ciò che stava accadendo a così breve distanza, tanto più considerando che la famiglia di Bono era formata da un genitore cattolico  e uno protestante.
Ma non c’è solo questa canzone: vedendo la foto del bambino con la maschera antigas nel museo di Free Derry (ripresa anche in uno dei murales del Bogside), non si può non pensare alla copertina di War, dove lo stesso ragazzino della copertina di Boy è cresciuto, ha il labbro ferito e ha perso l’innocenza dello sguardo.

Un’altra canzone scoperta per caso su YouTube che parla del rapporto Irlanda/Regno Unito è Famine di Sinead O’Connor, a proposito della carestia che a metà 1800 colpì l’isola verde (notevole il testo).

Tra le tante cose al museo di Free Derry si parlava anche di tutte quelle canzoni diventate bandiera della difesa dei diritti civili.
Sulle tante ce n’è una che spicca, quella che ha concluso la manifestazione di Domenica: We shall overcome.
Lenta e ripetitiva, questa ballata è servita ai sostenitori di differenti cause nel corso degli anni a dire: “Noi ce la faremo, supereremo tutte le difficoltà che abbiamo di fronte ora e alla fine trionferemo”.